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5 luglio 1980: come tutto ebbe inizio




È proprio con questa data, il 5 luglio 1980, che nasce la Storia del movimento trans* italiano. Una storia che vede come protagoniste un gruppo di donne trans, cittadine come chiunque di noi, invisibili e anzi illegali per lo Stato. Come vivevano in Italia le persone trans* prima del 1982? Le condizioni di vita nelle quali vivevano le donne trans e, più in generale, le persone trans* prima della legge 164/1982 era veramente tragica. Non riconosciute dallo Stato, venivano arrestate, il più delle volte con l'accusa di "mascheramento" (art. 85 c.p.) e se recidive erano previsti addirittura la revoca della patente e il confino. Molte si sottoponevano a terapie ormonali con pratiche di fortuna e interventi chirurgici all'estero, sotto uno Stato che non permetteva loro di veder riconosciuto il loro nome e il loro genere sui documenti. Obliate dallo Stato e dalla società, furono nella quasi totalità dei casi obbligate a vivere una vita ai limiti della legalità, in un clima che rendeva il sex work non una scelta ma l'unica scelta per sopravvivere.

Estratto di Pina Bonanno, tratto da P. Bonanno e P. Astuni, Donna come donna (storia di amore e lotte dei transessuali italiani)

Nella lotta per il riconoscimento del proprio nome e del proprio genere sui documenti, alcune donne trans avevano avviato la procedura tramite prefettura, vincendola in un solo caso prima della fatidica legge, che tutt'oggi regolamenta i percorsi di affermazione di genere in Italia: il caso di Romina Cecconi. Ed è proprio in questa condizione di estrema marginalizzazione che si forma l'identità del Movimento, all'epoca chiamato, transessuale italiano. La protesta delle piscine Pina Bonanno, Paola Astuni e molte altre donne trans decisero di elaborare una protesta geniale che segnerà e caratterizzerà il modus operandi del movimento stesso fino ai giorni nostri: la protesta delle piscine. Preparano lo striscione, si accordano su tutti i preparativi, allertano la stampa. Tutto è pronto: è il momento di agire. Il 5 luglio del 1980 entrano nella piscina "Il Lido", allora situata in Piazzale Lotto a Milano. Si presentano in bikini e in topless. Viene chiesto loro di coprirsi rimettendosi anche la parte superiore del costume, perchè il topless era vietato dal regolamento. Loro risposero prontamente che per lo Stato erano degli uomini e che quindi per regolamento erano autorizzate a stare in topless. Riuscirono a protestare tenendo in mano uno striscione che recitava «Siamo transessuali. Basta con le discriminazioni» e distribuendo volantini che riportavano le loro rivendicazioni e le loro istanze. Dopo un'ora arrivò la polizia che portò tutte loro in commissariato e con loro anche un cameraman che si era rifiutato di consegnare i filmati della manifestazione. «Uno show transessuale con fuori programma della polizia»: così titolava l'indomani il Corriere della Sera. 15 donne trans, protagoniste della protesta, tra cui la leader Pina Bonanno, erano state portate in questura e denunciate a piede libero per oltraggio alla pubblica decenza.


Sulla pagina del Corriere della Sera dell'indomani viene anche riportata una dichiarazione molto puntale contenente le istanze di quella protesta:

Il destino del marciapiede è spesso la punizione più amara per chi, in fondo, non voleva che recuperare la propria "normalità". La legge italiana, a differenza di quella di molti Paesi Europei (tra i quali Gran Bretagna, Danimarca, Olanda) non concepisce ancora il diritto di scegliere il proprio sesso.

Articolo integrale del Corriere della Sera

Le rivendicazioni di quella protesta, come scriverà Pina Bonanno stessa in una lettera aperta l'anno successivo (che trovate integralmente qui), erano cristalline sin dalla nascita del Movimento:

L'abbiamo dimostrato in diverse occasioni, come quando il 5 luglio dell'80 abbiamo fatto la prima manifestazione pubblica a Milano mostrandoci come siamo, cioè donne, alla piscina comunale: era nostra intenzione sorprendere l'opinione pubblica attraverso i giornali per attirare l'attenzione di tutti su quell'assurdo che è costringerci alla condizione di maschi quando la nostra sensibilità e il nostro corpo sono quelli di donne. A seni nudi, indossando costumi da bagno maschili, abbiamo urlato in faccia alla gente stupefatta: "Siamo donne o siamo uomini? E se siamo donne, perché non ci riconoscete un nome da donna?"

Cosa possiamo imparare, come attivistə, dalla protesta delle piscine? Questo episodio è stato completamente obliato dalla Storia, compresa la storia del Movimento LGBT+; il che, dal mio punto di vista, è estremamente distruttivo. Perché? Perché una comunità per avere coscienza di se stessa deve avere coscienza della sua storia e noi, purtroppo, non l'abbiamo. Questo è facilmente verificabile andando in una stanza nella quale sono presenti persone transgender, spesso anche stanze associative ahimè, e chiedere "Chi è Pina Bonanno?". Esito? Quasi nessuno lo saprà. Ma questa non è una caccia alla colpa, perchè soprattutto le nuove generazioni transgender stanno avendo enorme difficoltà a recuperare una storia che viene tramandata in pochi contesti associativi e comunque sempre oralmente. Ora che almeno questo episodio lo avete, però, mie care persone transgender e non solo all'ascolto, impegnatevi affinché la storia della vita e della militanza di queste donne, che hanno lottato per ottenere una legge che ci desse la possibilità di esistere per lo Stato, non sia dimenticata. Che cosa mi porto a casa dalla protesta delle piscine? Sicuramente 5 cose: 1. Le nostre istanze nascono da un movimento di donne, militante, di piazza, cittadino, fisico (non digitale e non lo dico perché erano gli anni '80), politico, sociale, culturale (non di servizi).


2. Saper sfruttare la scenicità all'interno di una manifestazione è sempre una carta valoriale da usare, anche in un momento storico di censura delle istanze e delle rivendicazioni di una collettività


3. Il movimento nasce da una collettività, non da battitorə liberə, che sempre più spesso vedo invece popolare i nostri tavoli contemporanei. Muoversi in gruppo è più difficile, ma è la strada da percorrere, se si vuole essere un movimento.


4. La rivoluzione la possono fare delle cittadine qualsiasi


5. Spesso noi oggi demonizziamo la legge 164/1982 perché diciamo fondamentalmente che è datata e non tarata sul principio di autodeterminazione. È vero e sono d'accordo, ma dobbiamo imparare a guardare con gli occhi del passato, che passano anche attraverso la contestualizzazione, chi è passatə e ha lavorato prima di noi. Dobbiamo riappropriarci dell'importanza storica di chi ci ha preceduto e delle lotte che ha portato avanti perché, anche quando non lo sono più, dobbiamo ricordarci che quelle lotte, nostre, lo sono state. Demonizzare il passato è il peggior modo per guardare al futuro. In un momento storico quanto più mai vicino alla volontà di confinamento all'oblio delle minoranze, vorrei ringraziare e ridare dignità storica a Pina Bonanno, Paola Astuni, Giuliana, Stella Bruno, Giusi La Piana, Roberta Franciolini, Gianna Parenti, Roberta Ferrante, Patrizia Bentivoglio, Loredana, Silvia, Stefania e tutte le donne trans che si batterono per l'affermazione della nostra identità negli anni '80.



Contro tutto e tuttə, ma ancora oggi e finché vivrò con me. Buona lotta.


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